Per decenni si è dato per scontato che, una volta raggiunta l’età adulta, il cervello umano non potesse più produrre nuovi neuroni.
Oggi la scoperta di un team di scienziati del Karolinska Institutet ha sfatato questo mito con uno studio scientifico.
Grazie al sequenziamento dell’Rna a singolo nucleo e un algoritmo di intelligenza artificiale, i ricercatori hanno dimostrato che nell’ippocampo esistono cellule progenitrici e neuroni immaturi dalla prima infanzia fino ai 78 anni di età. Questa nuova crescita neuronale, anche chiamata neurogenesi, avviene nel giro dentato dell’ippocampo, una parte fondamentale del cervello coinvolta nell’apprendimento, nella memoria e nelle emozioni. È qui che le informazioni in arrivo dalla corteccia vengono elaborate, trasformate in tracce mnemoniche.
Questi scienziati hanno studiato quasi mezzo milione di nuclei dall’ippocampo umano per verificare la persistenza della neurogenesi: partendo dai nuclei di bambini hanno identificato i marcatori dei progenitori neurali e dei neuroni immaturi, quindi hanno applicato un algoritmo di machine learning addestrato su questi dati ai nuclei di adulti, riconoscendo le stesse firme molecolari. Infine, hanno dimostrato che il cervello adulto conserva, con una certa variabilità tra un individuo e l’altro, un piccolo serbatoio di cellule in grado di generare nuovi neuroni.
I ricercatori hanno inoltre impiegato una tecnologia chiamata Xenium, che consente di marcare e visualizzare fino a 300 diversi indicatori all’interno di ciascuna cellula. Grazie a questi marcatori, hanno potuto localizzare con esattezza i progenitori neuronali nell’ippocampo e verificare che non esprimessero i tratti distintivi di altri tipi cellulari. Ciò conferma in modo inequivocabile che si tratta di veri precursori destinati a diventare neuroni.
La sfida è ora capire perché e come la neurogenesi avviene nell’uomo.
Sebbene le strategie terapeutiche precise per gli esseri umani siano ancora oggetto di ricerca, il semplice fatto che il nostro cervello adulto possa generare nuovi neuroni cambia radicalmente il modo di vedere l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, il recupero da lesioni e il potenziale inespresso della plasticità neuronale.
La scoperta apre infatti nuove piste per la comprensione della memoria, dell’umore e delle potenziali terapie rigenerative nelle malattie neurodegenerative e psichiatriche.